Uccide il ladro in casa propria: assolto. Il giudice: “Si è difeso come ha potuto”
Non andava condannato per aver ucciso: «Chi è reiteratamente aggredito reagisce come può, secondo la concitazione del momento». Nel suo gesto non si ravvisa nessuna «imperizia» e nessuna «imprudenza», nemmeno quando ha impugnato una pistola e ha sparato al ladro in fuga, che si era introdotto a casa sua: ha agito in quel modo dopo avere calcolato «il pericolo e i mezzi di salvezza». È una sentenza di assoluzione piena quella firmata dai giudici della I Corte d’Appello in favore di Diego Caioli, un commerciante romano che, imbavagliato pestato e rapinato in casa, senza volerlo si è trasformato in assassino ed ha ucciso un rapinatore usando la pistola del bandito. Anche se ha sparato a un uomo che in quel momento era disarmato, per i giudici non deve essere condannato. Nemmeno per eccesso colposo di legittima difesa.
Una verità gridata dall’imputato in aula per 10 anni, da quando una notte del 2008 si era ritrovato due rapinatori armati in casa – uno era fuggito – che gli avevano rubato un Rolex e dei contanti e lo avevano immobilizzato e picchiato. Caioli era poi riuscito ad afferrare la pistola e a fare fuoco uccidendo Franco Frerè, 50 anni. In un primo momento, la Procura aveva contestato al commerciante l’accusa di omicidio volontario, poi derubricata in eccesso colposo di legittima difesa. In primo grado era arrivata una condanna, ma la sentenza era stata ribaltata in appello. Caioli, quella sera, si era ritrovato una pistola puntata alle spalle da due rapinatori. Uno indossava un passamontagna, mentre Frerè aveva il volto scoperto. I due avevano strattonato il commerciante e la compagna, li avevano costretti a faccia in giù sul pavimento, con le braccia legate da fascette e la bocca tappata col nastro adesivo.
La coppia era poi riuscita a liberarsi e, mentre la donna si precipitava sulle scale per chiedere aiuto, il compagno aveva disarmato il rapinatore. Frerè era però riuscito a raggiungere la donna. È allora che i ruoli si sono invertiti e la vittima, suo malgrado, è divenuta assassino. La Corte d’appello, che ha accolto le conclusioni del legale di Caioli, l’avvocato Daniele Bocciolini dello studio Marazzita, ha così motivato la decisione: «La tragica fatalità poteva essere evitata solo a condizione di abbandonare l’arma appena sottratta al rapinatore e lasciarla incustodita, così esponendo se stesso e la compagna al pericolo di altre aggressioni». «Né si può ragionevolmente ritenere – si ricorda – che l’imputato potesse tenere la pistola in mano, senza impugnarla, e nel contempo colluttare alla pari col rapinatore». Anche il primo giudice aveva escluso «una sicura volontà omicida», visto il colpo non era diretto ad organi vitali, ma aveva raggiunto il rapinatore a una gamba. «In conclusione – si legge nella sentenza – la reazione di Caioli è stata pienamente legittima e proporzionata».