Tumore al pancreas, una nuova cura dimezza la progressione della malattia
Buone nuove dal mondo della scienza e della medicina, da sempre in prima linea contro la lotta ai tumore.
Secondo quanto spiegato da Giampaolo Tortora, uno degli autori dello studio internazionale Polo presentato in queste ore al congresso Asco (American Society Clinical Onclogy) di Chicago, è stato individuato un farmaco che, con un meccanismo biologico molto preciso per un gruppo di pazienti che” ha una specifica alterazione molecolare”.
Una buona notizia per le cur del tumore del pancreas, che secondo quanto spiegato aiuterebbe a migliora la sopravvivenza libera da malattia nei pazienti con mutazione dei cosiddetti geni ‘Jolie’.
Spiega quindi Tortora: “abbiamo abbattuto un muro nella lotta a questa neoplasia perché per tanti anni abbiamo utilizzato tutti i possibili farmaci a bersaglio molecolare che si sono affacciati nella farmacopea e che avevano dato risultati molto importanti in altri tumori, puntualmente fallendo però nei tumori del pancreas”
Per la prima volta dunque, una terapia innovativa e personalizzata migliora la sopravvivenza dei pazienti con questa forma di tumore metastatico. Si chiama olaparib, spiega L’Ansa, e nei pazienti con mutazione dei geni BRCA1 e/o BRCA2 ha ridotto del 47% il rischio di progressione della malattia. A 2 anni, il 22% dei pazienti trattati con olaparib risulta libero da progressione di malattia (rispetto al 9,6% di quelli trattati con placebo).
Ma quando potrà essere disponibile questa terapia?
“La terapia è in fase di registrazione ma per i tumori dell’ovaio. Per il pancreas dovremmo aspettare, lo studio Polo favorirà però i tempi di registrazione”
“Noi ci auguriamo – ha aggiunto Tortora – che sulla scia di questo importante lavoro scientifico il farmaco possa essere reso disponibile per le cure compassionevoli per i pazienti che hanno ottenuto una stabilizzazione della malattia dopo trattamento con un derivato del platino”
I dati sono molto incoraggianti, fa sapere l’ANSA: “Ad un anno la malattia si è ‘fermata’ nel 15% dei pazienti trattati con placebo contro il 34% di quelli curati col farmaco; ad 1,5 anni rispettivamente nel 10% e nel 30% e a due anni nel 10% nel 22%”.