Travaglio senza freni su Zelensky e l’Ucraina

Negli ultimi mesi, il dibattito sul conflitto in Ucraina ha subito un’accelerazione, portando alla ribalta nuove voci critiche nei confronti del presidente Volodymyr Zelensky. Tra queste, quella del direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, che ha sollevato interrogativi profondi sul ruolo del leader ucraino in una guerra che sembra essere il risultato di un intricato gioco geopolitico.

Travaglio non esita a definire Zelensky come «l’ultimo colpevole della guerra insensata» che ha colpito l’Ucraina negli ultimi tre anni. Questa affermazione, contenuta in un editoriale recente, suggerisce che il presidente ucraino non sia il principale responsabile del conflitto, ma piuttosto una pedina sacrificabile in un contesto internazionale complesso e spesso manipolato. Secondo il giornalista, Zelensky è stato usato come uno strumento dall’Occidente, in particolare dagli Stati Uniti e dalla NATO, per indebolire la Russia e esercitare un maggiore controllo sulla regione.

Fin dall’inizio della guerra, Travaglio ha messo in guardia contro il sostegno incondizionato a Zelensky, avvertendo che tale appoggio sarebbe durato solo fino a quando avrebbe servito gli interessi occidentali. Con la crescente stanchezza dell’opinione pubblica occidentale nei confronti del conflitto, i leader che fino a poco tempo fa sostenevano Zelensky iniziano ora a prendere le distanze. L’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, insieme ad altri esponenti politici, ha iniziato a sostenere che il conflitto debba essere risolto attraverso negoziati con Putin, spostando così la narrazione da quella di un eroe a quella di un problema.

Un aspetto centrale della critica di Travaglio è la responsabilità dell’Occidente nella gestione della crisi. Secondo lui, la guerra avrebbe potuto essere evitata se gli accordi di Minsk fossero stati rispettati, accordi che prevedevano una certa autonomia per le regioni filorusse del Donbass. Zelensky, sotto la pressione della NATO e degli Stati Uniti, avrebbe scelto di ignorare tali intese, contribuendo all’escalation del conflitto. Questa visione non solo mette in discussione le scelte del presidente ucraino, ma suggerisce anche che la vera responsabilità ricada su chi ha alimentato il conflitto da dietro le quinte.

Travaglio descrive Zelensky come il leader di una «democratura dell’Est Europa», accusandolo di aver represso l’opposizione politica e di aver consolidato il potere intorno a sé. Tuttavia, pur riconoscendo le sue colpe, il giornalista sottolinea che la manipolazione da parte dell’Occidente ha avuto un ruolo cruciale nel portare l’Ucraina a una guerra che, di fatto, non poteva vincere.

Con l’attuale cambio di narrativa, Zelensky rischia di diventare il capro espiatorio di un conflitto più ampio, in cui il vero scandalo non è tanto la figura del presidente ucraino, ma il modo in cui l’Occidente ha gestito l’intera crisi. Travaglio conclude che prendersela con l’anello più debole è un gesto troppo comodo e vile, e invita a riflettere sulle responsabilità di un sistema che ha illuso Kiev con promesse irrealizzabili, spingendo il paese verso un conflitto con gravi conseguenze.