MATTEO MESSINA DENARO, LE PAROLE DEL VICINO DI CASA
Matteo Messina Denaro, 60 anni, è finito in manette dopo una latitanza durata 30 anni, metà vita, insomma. Non si fa che parlare del suo arresto anche se, in queste ore, le notizie continuano ad arrivare senza sosta.
Messina Denaro, il padrino di Castelvetrano, l’autore di stragi che hanno macchiato di sangue la storia italiana, è oggi ben diverso dall’identikit divulgato inizialmente; un uomo provato dalla sofferenza di una malattia aggressiva.
Come ormai noto, il secondo covo del boss è stato scoperto in via Cb21, a Campobello di Mazara, dai carabinieri del Ros. Quel che è stato ritrovato è l’emblema di un mafioso che, nonostante la latitanza, non ha mai rinunciato al lusso, allo sfarzo.
Mentre Messina Denaro è stato trasferito nel carcere di massima sicurezza de l’Aquila, osservando il 41 bis, queste sono ore concitate per gli inquirenti che cercano di reperire il maggior numero di informazioni possibili.
Intervistati dalla stampa, anche alcuni dei vicini di casa del boss che hanno fornito delle informazioni ben precise sul superlatitante. Vediamo cosa hanno dichiarato.
L’arresto è scattato al culmine di un blitz dei carabinieri del Ros, nella mattinata del 16 gennaio, all’interno della clinica Maddalena, ma questo è solo l’inizio di una ricerca incessante che possa portare a scoprire tutto il mondo, fatto di omertà, accondiscendenza, protezione, nei confronti di un uomo che, ricordiamo, è riuscito a sfuggire alla giustizia per tre decessi. Il secondo covo è stato scoperto. Al suo interno, l’impossibile, tranne quel che si sperava di trovare.
Profumi di lusso, sneakers griffati, abiti ricercati cui non aveva mai rinunciato, un arredamento elegante, raffinato. Il lusso sino alla fine della sua libertà, della sua prima volta in carcere, in una cella, in isolamento. Un frigorifero pieno zeppo di cibo, ricevute di ristoranti, pillole di Viagra, profilattici. Un boss attivo in tutti i sensi, insomma! Tutto è stato sequestrato e nulla verrà lasciato al caso, in particolar modo dei cellulari e un’agenda.
Ma cosa ne pensano i vicini di casa? Uno di loro ha raccontato alla stampa che il boss stava lì da solo, da circa un anno. “Usciva, come una qualsiasi altra persona. Buongiorno e buonasera, era educato e non dava confidenza”. Queste le parole di chi lo vedeva condurre una vita normale nonostante fosse ricercato da 3 decenni.
La sua casa, situata in una palazzina di vicolo San Vito, traversa della centralissima via Vittorio Emanuele II, e non di certo in un luogo nascosto, era intestata, guarda caso, ad Andrea Bonafede, nome e cognome usato dal boss per accedere alla clinica palermitana e sottoporsi alle cure chemioterapiche. Il mistero è molto più fitto di quanto si pensi e la lista degli indagati continua ad indagarsi.
In essa ci è finito, ad esempio, il medico di base di Campobello di Mazara che aveva in cura Messina Denaro e che assisteva anche il vero Andrea Bonafede. Il secondo nascondiglio dell’ex primula rossa è stato trovato ma in esso non c’è traccia del famoso archivio di Totò Riina, di cui non si hanno notizie da 30 anni, dopo la mancata perquisizione del covo di via Bernini a Palermo da parte dei Ros. E’ un “tesoro” che potrebbe rilevare molte cose dei misteri irrisolti della stagione delle stragi dei Corleonesi. Intanto gli inquirenti continuano a lavorare senza sosta per smascherare la fitta rete, caratterizzata da intrecci con massoneria, servizi deviati, rapporti politici…e omertà.