L’ultimo gesto d’amore di Papa Francesco prima della scomparsa
Mentre il mondo si prepara a dare l’ultimo saluto a Papa Francesco, emergono testimonianze che rivelano un aspetto meno appariscente ma profondamente umano del suo pontificato: l’amore e la dedizione verso i detenuti e il mondo carcerario. Monsignor Benoni Ambarus, vescovo delegato alla carità e alle carceri, ha condiviso con commozione e amarezza il suo ricordo del Papa, evidenziando come il suo impegno fosse fatto di gesti concreti e di un’attenzione costante, spesso invisibile agli occhi del pubblico.
L’ultima visita di Papa Francesco nel carcere di Regina Coeli rappresenta un’immagine potente e struggente: un uomo stanco, consumato, ma presente, che si trascinava con fatica per mostrare che i detenuti meritano attenzione e rispetto. «Per loro è morto un padre», ha detto Monsignor Ambarus, sottolineando come il Papa abbia incarnato la speranza e la misericordia per chi vive dietro le sbarre. La sua presenza non era solo spirituale, ma anche concreta: incontri, lavande dei piedi, gesti simbolici che chiedevano un segnale di umanità da parte delle istituzioni.
Un esempio emblematico di questo impegno è stata l’apertura della Porta Santa a Rebibbia, seconda solo a quella di San Pietro, un gesto che ha acceso la luce su un mondo spesso dimenticato. Per il Papa, quella porta rappresentava un simbolo di speranza e di misericordia, un invito a non dimenticare chi si trova in condizioni di marginalità e sofferenza. La collaborazione silenziosa di figure come l’ex presidente del DAP, Giovanni Russo, ha reso possibile quell’evento, che oggi si configura come un cuore pulsante della pastorale carceraria, con incontri mensili tra detenuti e operatori, non come semplici visite, ma come momenti di riflessione e di impegno condiviso.
Tuttavia, Monsignor Ambarus denuncia come molti degli appelli del Papa siano caduti nel vuoto. «Aveva chiesto un segnale, anche minimo: uno sconto di pena simbolico durante il Giubileo. Ma nulla è arrivato», afferma con amarezza. GestI semplici e significativi, come un gesto di misericordia o un segnale di vicinanza, avrebbero potuto alimentare la speranza di chi vive in carcere, ma spesso sono stati ignorati o rimandati.
Il ricordo di Papa Francesco si traduce anche in un’eredità di umanità e di testimonianza: «Ha donato tutto se stesso agli ultimi», conclude Monsignor Ambarus. La sua stessa sepoltura, rivelano, sarà offerta da un benefattore, perché lui, davvero, non ha tenuto nulla per sé. Un esempio di umiltà e di dedizione che sfida la Chiesa a non dimenticare chi resta dietro a una porta chiusa, e a continuare a portare avanti il suo messaggio di misericordia, speranza e dignità per tutti.
In un mondo che spesso preferisce guardare altrove, le parole e i gesti di Papa Francesco ci ricordano che l’amore e l’attenzione verso i più deboli sono il vero patrimonio di una società civile e misericordiosa. La sua testimonianza, ora più che mai, ci invita a non smettere di lottare per un mondo più giusto e compassionevole.