Il piano nomadi della Raggi è al palo: solo un rom su 6 accetta di lavorare
È iniziato il conto alla rovescia per la chiusura di due dei principali campi nomadi della Capitale. Le baraccopoli de La Barbuta e della Monachina si preparano a chiudere i battenti entro la fine del 2020.
Ma il piano del Campidoglio finanziato con 3,8 milioni di fondi europei messi a disposizione per superare la logica degli insediamenti si sta rivelando un fiasco.
A dirlo sono i numeri forniti dal Messaggero. Alla Barbuta, ad esempio, l’insediamento che confina con l’aeroporto di Ciampino, divenuto famoso per le faide spietate e i roghi tossici che avvelenano il quadrante sud della città, vivono ancora 51 famiglie. Nel 2018, quando è partito il piano per superamento del campo, erano 93. Nei contanier restano centinaia di persone, compresi 130 bambini.
Sono 18 le famiglie che hanno ottenuto l’assegnazione di una casa popolare grazie al punteggio extra previsto nei nuovi bandi per chi proviene da “campi rom e centri di accoglienza” e 23 quelle che hanno fatto richiesta per un alloggio e sono in attesa delle chiavi. Gli altri rimangono nelle baracche e non sembrano intenzionati ad integrarsi nella società. Sempre secondo i dati forniti dal quotidiano di via del Tritone, ventuno persone in questo campo si sarebbero rifiutate di rendere pubblica l’entità del loro patrimonio. Forse perché davanti ai prefabbricati spesso vengono parcheggiate auto da decine di migliaia di euro.
Solo in dieci hanno aderito al programma del Comune per raccogliere il ferro da destinare al riciclo, mentre sono soltanto sei quelli che hanno effettuato un tirocinio. Nell’accampamento della Monachina, in zona Aurelio, la situazione è simile. I passi avanti in questi due anni sono stati ben pochi. A parte l’aumento dei bimbi che frequentano la scuola dell’obbligo, spesso però senza essere vaccinati, una buona percentuale degli abitanti ancora non ha i documenti. In pochissimi sono riusciti a trasferirsi in appartamento sfruttando il bonus affitto messo a disposizione dal Campidoglio.
Numeri a dir poco deludenti, considerando che nonostante l’impegno dei volontari della Croce Rossa, in totale nei due campi prossimi alla chiusura soltanto un abitante su sei ha accettato le offerte di lavoro inoltrate dall’amministrazione capitolina. Su 402 nomadi quelli che hanno detto sì a percorsi formativi e di avviamento professionale sono stati soltanto 68. E dal 2018 ad oggi le firme apposte su un contratto vero e proprio si contano sulle dita di una mano.
Insomma, il raggiungimento dell’obiettivo entro la fine del 2020 sembra ancora un’utopia. Eppure quella della chiusura delle baraccopoli è una vera e propria urgenza. Basti pensare che nei primi quattro mesi del 2019 gli interventi dei vigili del fuoco per spegnere i roghi di materiale di risulta e spazzatura sono stati ben 55. Con buona pace dei residenti costretti a respirare quotidianamente i miasmi che arrivano dagli insediamenti.