Dietro i tatuaggi (e i milioni) niente: lo sfacelo umano della Nazionale

Il panorama sportivo italiano non è affatto in crisi, ci dicono. L’atletica azzurra ha dominato gli Europei di Roma, il nuoto promette bene per i Giochi di Parigi, e siamo forti in pallavolo, pallanuoto, sci e fioretto. Ma parliamo di calcio, il nostro sport nazionale, dove i ragazzi non giocano più per strada e dove non emerge nessun fuoriclasse tra i milioni di nuovi italiani. È davvero una sorpresa che il calcio sia diventato una barzelletta?

Guardiamo le squadre italiane che hanno fatto bene nelle coppe europee: quasi esclusivamente stranieri. La nostra Nazionale? Imbarazzante come mai prima d’ora. Ricordiamo le disastrose spedizioni in Corea 2002Sud Africa 2010 e Brasile 2014, eppure c’erano ancora personaggi di spessore. Oggi? Il deserto. Un vuoto abissale di talento, di dedizione, di passione

Aldo Cazzullo ha osservato acutamente: “È abbastanza incredibile, ad esempio, che nel calcio non sia ancora emerso un fuoriclasse tra i milioni di nuovi italiani che innervano altri sport, si pensi al campione olimpico Marcell Jacobs e al fenomeno che avrà la sua consacrazione a Parigi, Yeman Crippa“. Non solo, ma “le poche squadre italiane che hanno fatto bene nelle coppe europee in questi anni, da ultima l’Atalanta, sono composte quasi esclusivamente da stranieri”. Un panorama desolante che rispecchia una crisi non solo tecnica ma soprattutto umana.

La vera tragedia è la mancanza di carattere, coraggio e forza morale. Nello sport moderno, o sei baciato dagli dei come Messi, oppure devi costruirti anche come uomo: carattere, coraggio, forza morale. Dovresti vivere con gli occhi aperti, imparare le lingue straniere, aggiornarti sul tuo sport, magari leggere un libro. Ma i nostri calciatori sono troppo occupati a sfoggiare tatuaggi, milioni, procuratori, veline, auto sportive e scommesse online. Sì, perché leggere un libro? Forse il libro di Panatta, “Più dritti che rovesci”, potrebbe insegnare qualcosa

Panatta racconta i suoi incontri con Mina, Paolo Villaggio e Ugo Tognazzi, gli articoli che leggeva, i film che guardava, e come tutto questo arricchiva il suo tennis. Ai nostri calciatori, invece, non interessa nulla di tutto ciò. Cazzullo continua: “Nella sua bella autobiografia, ‘Più dritti che rovesci’, Adriano Panatta racconta i suoi incontri con Mina, con Paolo Villaggio, con Ugo Tognazzi, gli articoli che leggeva, i film che guardava, e aggiunge che tutto questo arricchiva il suo tennis, il suo modo di stare in campo, la sua maniera di affrontare gli avversari. Ragazzi, un consiglio: almeno il libro di Panatta, leggetevelo.”

E allora sì, come scriveva Gianni Brera (chi?), puoi essere anche il Gesù Cristo del calcio, ma se trovi un brocco disposto a correre più di te, non puoi giocare. E i nostri, di brocchi, ne trovano tanti. Forse dovremmo accettare che il nostro calcio è diventato una farsa, una tragedia moderna dove il vero talento è soppiantato dalla superficialità. E mentre gli altri sport italiani prosperano, il calcio continua a sprofondare in un abisso di mediocrità, senza vedere la luce. Ma chi se ne accorge, tra un tatuaggio e un selfie?

La qualità tecnica è una cosa, ma la qualità umana è un’altra storia. E quella è mancata ancor di più. Il nostro calcio è diventato uno specchio della società, dove l’apparenza vale più della sostanza, dove la dedizione è stata rimpiazzata dalla vanità. È tempo di svegliarsi, di riconoscere i veri valori e di tornare a costruire non solo atleti, ma uomini di carattere. Ma siamo pronti a farlo? O continueremo a crogiolarci nella nostra decadenza, aspettando che il prossimo Maradona ci salvi dalla nostra stessa mediocrità?

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