Diana morta di stenti, il legale di Alessia Pifferi: “Evidente che non volesse uccidere”
A distanza di quasi due anni dal fatto di cronaca che ha scosso l’Italia intera, potrebbe chiudersi oggi il procedimento penale a carico di Alessia Pifferi, la donna accusata di aver fatto morire di stenti la figlioletta Diana; diciotto mesi appena. In giornata, infatti, ci sarà l’arringa difensiva della sua avvocata Alessia Pontenani e parlerà anche il collega di parte civile Emanuele Di Mitri. Avrà la possibilità di fare repliche il pm Francesco De Tommasi. Non è esclusa la sentenza proprio oggi ma, se il tempo non dovesse bastare, c’è già un altro appuntamento segnato sul calendario: il 10 giugno.
La legale di Alessia Pifferi: “Non voleva uccidere”
La requisitoria di Alessia Pontemani, legale di Pifferi, ha avuto toni molto forti: “Se mi dovessi togliere questo cencio nero dalle spalle direi che è un mostro, ha fatto una cosa terribile, tremenda. Dalla parte civile viene definita lussuriosa, ma qui non stiamo dando giudizi morali ma per applicare la legge nel miglior modo possibile e per questo vi chiedo l’assoluzione di Alessia Pifferi. È evidente che non volesse uccidere la bambina. Ha avuto una vita terribile, è crescita nell’incuria e nell’abbandono, non voglio accusare nessuno”. Pontemani continua poi dicendo: “Ci troviamo di fronte a una condotta di natura volontaria, a un caso agghiacciante in cui la responsabilità è chiara a seguito di granitiche prove, mai scalfite dagli esiti dell’istruttoria. In questo processo c’è solo una verità: Alessia Pifferi è colpevole dell’omicidio della piccola Diana, sapeva benissimo che abbandonando la figlia in quel modo ne avrebbe provocato la morte”.
Risalgono al 12 aprile scorso, quando davanti alla Corte d’assise Alessia Pifferi aveva dichiarato: “Non sono un’assassina né un mostro, sono una mamma che ha perso sua figlia e non ho mai pensato che potesse accadere una cosa del genere alla mia bambina. Non ho mai premeditato una cosa del genere”, Per il pm merita, però, l’ergastolo: “Non ha avuto il coraggio di ucciderla” con le sue mani, ma “ha lasciato al destino il fatto di sbarazzarsi di sua figlia”.
“La mia mente si è spenta”
Alessia Pifferi, 38 anni, in carcere a San Vittore, è a processo per omicidio pluriaggravato per aver lasciato la sua piccolina, Diana, da sola in casa dal tardo pomeriggio del 14 luglio 2022 alla mattina del 20 luglio. Parti civili sono la sorella e la madre dell’imputata, Viviana Pifferi e Maria Assandri.
“Io mi preoccupavo per mia figlia, pensavo che il biberon che le avevo lasciato bastasse», racconta l’imputata nel settembre dell’anno scorso, quando parla in aula. E al pm De Tommasi, che la incalza, risponde: «Le chiedo di non sgridarmi, per favore”. Quel giorno racconta che quando nacque Diana non sapeva di essere incinta; di aver scoperto solo da adulta di avere un problema cognitivo; che già altre volte aveva lasciato da sola la figlia ma solo per una notte. Poi quel periodo molto più lungo, diventato una condanna a morte. “La mia mente si è spenta, oggi non lo rifarei. Ero legata a Diana, non mi staccavo mai da lei. Ho capito tante cose facendo il percorso con le psicologhe. Mi hanno chiesto se rifarei questa cosa e io ho detto di no. La mia mente si è spenta in quel momento”.
La questione della perizia psichiatrica
La salute mentale di Pifferi, in questi mesi, è stata al centro del processo, con un fortissimo braccio di ferro tra accusa e difesa. La corte d’Assise presieduta da Ilio Mannucci Pacini dispone una perizia psichiatrica, affidata a Elvezio Pirfo. Per l’esperto, la 38 enne “al momento dei fatti era capace di intendere e di volere”. Il perito scrive ancora che Pifferi “ha tutelato i suoi desideri di donna rispetto ai doveri di accudimento materno verso la piccola Diana”, e non ha “disturbi psichiatrici maggiori”, né “gravi disturbi di personalità”. I deficit mentali “sono simulati», i test in carcere «inattendibili”. Il 10 ottobre, poi, il pm De Tommasi tuona in aula: “Non ci sto a essere preso in giro”. Il magistrato sostiene che Pifferi sia stata manipolata in carcere. Quelle parole si trasformano nella cosiddetta “inchiesta bis”, che conta 5 indagate: da un lato la stessa avvocata di Pifferi, dall’altro 4 psicologhe, di cui tre di San Vittore, che seguono la donna in carcere. Le accuse sono di falso e favoreggiamento: per la Procura, le professioniste avrebbero somministrato un test all’infuori delle proprie competenze e, a vario titolo, avrebbero partecipato alla stesura di una relazione volta soltanto a far ottenere all’imputata “l’agognata perizia psichiatrica“. Insomma, Pifferi sarebbe stata manipolata. L’inchiesta è tuttora aperta. La mossa del pm scatena più reazioni: dallo “sciopero” per protesta degli avvocati penalisti a una lettera aperta firmata da decine di esponenti del mondo del carcere, dell’associazionismo e della politica che denunciano il clima “intimidatorio” nei confronti di chi lavora negli istituti penitenziari. Ma l’indagine ha anche ripercussioni interne: la pm Rosaria Stagnaro, che seguiva il caso con De Tommasi, lascia l’inchiesta principale sull’omicidio.