Conclave post-Francesco: chi sono i possibili successori di Bergoglio

Il prossimo conclave, quando sarà, non si giocherà soltanto sul piano delle idee teologiche o delle sensibilità pastorali. In Vaticano si avverte da tempo l’inizio di una lotta di influenze tra continenti, in cui i cardinali sembrano essere sempre più inclini a sostenere candidati provenienti dalla propria area geografica. Un confronto non solo tra conservatori e progressisti, ma tra blocchi: Europa, America Latina, Africa e Asia. Una polarizzazione che rende ancora più complessa la scelta del successore di Papa Francesco, il pontefice venuto “dalla fine del mondo”, che ha incarnato per oltre un decennio una visione pastorale decentrata e attenta alle periferie.

In questo scenario di equilibri delicati e alleanze variabili, l’Italia si presenta con due candidati forti, ma anche con un ostacolo importante: un sentimento “anti-italiano” che serpeggia tra i cardinali, soprattutto extraeuropei. Dopo secoli di dominio italiano e due papi stranieri di seguito, molti elettori ritengono che il ritorno di un pontefice italiano rischi di segnare una restaurazione più geografica che evangelica. Un pregiudizio difficile da scardinare.

Tra i nomi più discussi, spiccano due italiani:

Pietro Parolin, 70 anni, è il Segretario di Stato Vaticano e uno dei maggiori esperti di diplomazia della Santa Sede. È conosciuto per la sua prudenza, la capacità di mediazione e un equilibrio che potrebbe piacere alle ali più centriste. Ma la sua mancanza di esperienza pastorale e l’immagine da “uomo d’apparato” potrebbero raffreddare gli entusiasmi.

Più acceso è invece il profilo di Matteo Zuppi, presidente della CEI e vicino alla Comunità di Sant’Egidio. È stato l’inviato speciale del Papa per la pace in Ucraina ed è considerato uno dei principali eredi spirituali della linea bergogliana. Il suo approccio pastorale, inclusivo e dialogante, potrebbe far convergere una parte dei cardinali “progressisti”, anche se non è detto che riesca a scalfire le resistenze del blocco più conservatore.

Ma se il conclave sarà anche una questione di numeri, allora bisognerà guardare fuori dai confini europei.

Dal Sud America, ancora una volta, arriva una candidatura autorevole: quella del cardinale Sergio da Rocha, brasiliano, membro del C9, vicino al Papa e stimato tra i vescovi dell’America Latina. Ma l’assenza di un “candidato unitario” tra i progressisti del continente rischia di indebolire la sua corsa.

Dall’Asia, invece, la figura più amata è quella del cardinale Luis Antonio Tagle, ex arcivescovo di Manila e ora a Roma. È considerato un vero “ponte” tra i continenti: carismatico, comunicativo, con una visione globale della Chiesa. Tuttavia, l’essere già ben inserito nella Curia romana potrebbe penalizzarlo agli occhi di chi desidera una rottura più netta con l’establishment.

L’Africa si presenta con due papabili significativi ma antitetici. Da una parte il conservatore Robert Sarah, guineano, ex prefetto del Culto Divino, volto noto della frangia più rigida dell’episcopato mondiale. Dall’altra Fridolin Ambongo Besungu, congolese, molto ascoltato nei sinodi africani, che ha dato voce a un cattolicesimo forte ma critico su alcuni documenti recenti di Roma, come “Fiducia supplicans” sulle benedizioni alle coppie omosessuali.

Infine l’Europa, che resta ancora il cuore amministrativo della Chiesa ma sempre più divisa. Oltre agli italiani, si citano nomi come Jean-Marc Aveline (Francia), Mario Grech (Malta), Josè Tolentino de Mendonça (Portogallo) e Pierbattista Pizzaballa (Italia), patriarca latino di Gerusalemme. Tutti candidati di prestigio, ma con un consenso ancora troppo frazionato.

In questo intricato mosaico, il futuro del pontificato sarà deciso non tanto dalle personalità quanto dalla visione di Chiesa che il collegio cardinalizio intenderà perseguire: una Chiesa proiettata nel mondo, sinodale, periferica e in dialogo? O una Chiesa più identitaria, centralizzata, attenta alla dottrina e al rigore morale?

E come sempre, il vero Papa sarà forse quello che nessuno ha messo nella lista. Perché, come recita la tradizione romana: «Chi entra Papa in conclave, ne esce cardinale».

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