Caso Sala, Abedini libero: l’Iran annuncia il rientro a Theran
Un sorriso quasi incredulo, seguito da un pianto di liberazione. Mohammad Abedini, ingegnere iraniano di 38 anni, ha finalmente riacquistato la libertà dopo un lungo periodo di detenzione. La quinta Corte d’Appello di Milano ha infatti disposto la revoca della custodia cautelare nei suoi confronti, accogliendo la richiesta del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, di non procedere con l’estradizione verso gli Stati Uniti. La decisione ha segnato un’inversione di rotta rispetto alla posizione iniziale del ministro, che aveva sollecitato l’arresto e la custodia cautelare dell’uomo. Abedini, che fino ad ottobre 2025 aveva un permesso di soggiorno in Svizzera, si è visto così liberato dalla prigione di Opera, dove era detenuto, dopo un passaggio in diverse strutture penitenziarie.
L’arresto e l’inizio del calvario
La vicenda di Abedini ha inizio il 16 dicembre 2024, quando viene arrestato all’aeroporto di Malpensa su mandato di arresto internazionale spiccato dagli Stati Uniti. La sua detenzione si colloca in un contesto diplomatico e politico particolarmente teso, con l’arresto della giornalista italiana Cecilia Sala a Teheran avvenuto appena tre giorni prima. Quest’ultimo arresto, inspiegabile nelle sue motivazioni, ha suscitato molte polemiche e interrogativi. Le autorità iraniane avevano iniziato a considerare la possibilità di chiedere la sua estradizione, ma la decisione è stata presa dalle autorità italiane, con la richiesta da parte di Washington di estradare Abedini.
Nonostante il suo status di residente legale in Svizzera, la sua detenzione ha sollevato forti critiche a livello internazionale, sia per le modalità con cui è stato fermato sia per la controversia che ha suscitato in relazione alla giustizia italiana e alla cooperazione con gli Stati Uniti. A far da sfondo alla vicenda ci sono anche le tensioni geopolitiche tra Iran, Stati Uniti e l’Occidente, che hanno reso la situazione ancora più complessa.
La decisione del Ministro Nordio e il dietrofront
Il 20 dicembre 2024, Carlo Nordio, ministro della Giustizia, aveva richiesto la custodia cautelare per Abedini, in attesa che il caso fosse risolto in tribunale. Un’istanza che si allineava alla richiesta degli Stati Uniti, ma che ha suscitato diverse perplessità, soprattutto in merito alla procedura seguita dalle autorità italiane. La custodia cautelare era stata disposta, nonostante l’opposizione iniziale della difesa di Abedini, che aveva sollevato dubbi sull’imparzialità del processo.
Tuttavia, dopo meno di tre settimane, una nuova decisione segna un cambiamento radicale. Il ministro Nordio, pur sostenendo la validità delle ragioni legali che avevano portato alla richiesta di estradizione, ha deciso di non procedere oltre con la richiesta di mantenere Abedini in custodia cautelare, ritenendo che non ci fossero più le condizioni per il suo arresto. La quinta Corte d’Appello di Milano, a seguito di questa indicazione, ha infatti revocato la misura cautelare, liberando Abedini.
La motivazione del ministro, pur non essendo cambiata dal punto di vista giuridico, ha avuto una forte valenza politica. Si trattava, infatti, di una decisione che veniva anticipata prima dell’udienza fissata per mercoledì 15 gennaio 2025, nella quale si sarebbe dovuto decidere sulla richiesta di arresti domiciliari presentata dal difensore di Abedini, l’avvocato Alfredo de Francesco. Nonostante la posizione iniziale di Nordio, che sembrava intenzionato ad attendere l’esito dell’udienza, il caso è stato accelerato probabilmente per evitare che il giudizio della Corte d’Appello contrastasse con la posizione del ministero. La revoca della custodia cautelare, quindi, è stata un atto giuridico che ha preceduto la decisione ufficiale dei giudici, lasciando pochi margini di manovra alla giustizia italiana.
Le implicazioni politiche e giuridiche della decisione
La decisione di Nordio ha suscitato non poche polemiche, specialmente per le implicazioni politiche che la decisione portava con sé. La legge italiana prevede, infatti, che la revoca della custodia cautelare possa essere disposta direttamente dal ministro della Giustizia, che esercita il proprio potere in base all’articolo 718 del codice di procedura penale. Questo strumento giuridico, seppur formalmente valido, è intrinsecamente legato a valutazioni politiche, più che giuridiche, suscitando perplessità su come possano essere influenzati i procedimenti in caso di delicate situazioni internazionali.
Il caso di Abedini, infatti, è molto più che una semplice questione legale: è una questione politica, in cui si intrecciano gli interessi internazionali degli Stati Uniti, dell’Iran e dell’Italia. La decisione di non attendere l’udienza di mercoledì 15 gennaio potrebbe essere stata una mossa per evitare un’ulteriore escalation diplomatica e per non entrare in conflitto con la posizione delle autorità giudiziarie milanesi, che avrebbero difficilmente concesso gli arresti domiciliari a Abedini, come già indicato dalle procuratrici generali Francesca Nanni e Laura Gay.
Abedini ora è libero: cosa succede ora?
Mohammad Abedini, ora libero, ha diverse opzioni di fronte a sé. Dopo aver passato un periodo di detenzione nelle carceri italiane, inizialmente a Busto Arsizio e poi a Opera, Abedini è ora in totale libertà. Le autorità giudiziarie di Teheran hanno reso noto che l’ingegnere iraniano rientrerà in Iran “nelle prossime ore”. La sua liberazione segna la fine di un periodo di incertezze e di tensioni, ma anche l’inizio di una nuova fase, che potrebbe essere altrettanto complessa sotto il profilo politico e diplomatico.
La sua decisione di tornare in Iran è stata probabilmente influenzata dal contesto politico e dalle condizioni giuridiche che lo riguardano. Rientrato nel suo paese, Abedini potrebbe affrontare nuove sfide legate alla sua posizione in Iran, ma la vicenda ha messo in luce le difficoltà di trattare casi legati a motivi politici in ambito giuridico, sollevando interrogativi sulla trasparenza e sull’imparzialità del sistema giudiziario italiano.
La vicenda ha infatti avuto un ampio risalto, non solo in Italia, ma anche a livello internazionale, ponendo in evidenza le difficoltà nel bilanciare gli interessi giuridici con quelli politici, soprattutto in casi che coinvolgono paesi con relazioni diplomatiche tese.
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