Borghezio lancia l’allarme per il Congo. La Kyenge tace
Migliaia di persone uccise e più di un milione di sfollati nella Repubblica Democratica del Congo fanno tornare lo spettro della guerra civile che fra il 1996 e il 2003 provocò la morte di 5 milioni di persone.
Assente la voce della deputata europea del Pd Cécile Kyenge, nonostante che sia nata nella provincia congolese del Katanga, l’ unico a preoccuparsene sembra l’ esponente politico forse più accusato di razzismo e xenofobia, Mario Borghezio. Il quale, in realtà, in gioventù aveva lavorato nell’ allora Zaire, ricevendo anche un pubblico elogio dal presidente Joseph Desirè Mobutu per la sua opera nel Paese africano, fra i primi produttori mondiali di cobalto, oro, argento, nichel e diamanti. «È il Paese del cosiddetto “scandalo geologico”, dove vi sono immense ricchezze, ma la popolazione sta morendo di fame, mentre la classe politica locale sta guadagnando dallo sfruttamento delle risorse minerarie del territorio.
La situazione», dichiara l’ europarlamentare della Lega Nord, «diventa ogni giorno sempre più drammatica: da tempo le bande di ribelli stanno compiendo indisturbate massacri e devastazioni». La cronaca è quella di un conflitto ignorato dall’ Unione Africana, tanto quanto dall’ Unione Europea «che lascia incancrenire la situazione». L’ allarme è ignorato, anche se «mentre nella regione centro-meridionale del Kasai, si contano a centinaia le vittime e i villaggi incendiati dai gruppi ribelli che vorrebbero occupare quella regione famosa per l’ estrazione dei diamanti, altri gruppi sono in rivolta nel nord-est del paese, con uccisioni e profughi in fuga, per il controllo delle risorse del luogo, come le importantissime miniere di coltan».
Occorrerebbe una forza di interposizione internazionale per evitare un nuovo genocidio. Ma nessuno trova il coraggio di far cessare i combattimenti per non toccare i delicati equilibri fra gli interessi delle multinazionali che speculano sul sangue dei «negri».
Allora deve intervenire proprio Borghezio: «Di fronte a questa realtà tragica e foriera di nuovi lutti per quel paese, restiamo sbalorditi nell’ apprendere dell’ assoluta immobilità della missione Onu presente in forze sul territorio con ben 16mila uomini, mezzi blindati ed elicotteri che resta inspiegabilmente chiusa nelle caserme e non riesce neppure a garantire la sicurezza nei campi profughi».
«Una fra le missioni più grandi e costose delle Nazioni Unite (1,2 miliardi di dollari l’ anno) – conclude Borghezio – resta totalmente inerte di fronte alla violenze, come già accadde in Rwanda e a Srebrenica. Sono in primo luogo le vittime a porre senza scusanti alla comunità internazionale questo interrogativo non più rimandabile: a cosa serve l’ Onu ?».