TUMORE AL PANCREAS, I DUE CAMPANELLI DI ALLARME CHE DEVONO ALLARMARTI
Il tumore al pancreas, stando a quanto riportato sul sito dell’Airc, che ne dà la definizione precisa, si manifesta quando alcune cellule, nella maggior parte dei casi le cellule di tipo duttale, si moltiplicano senza più controllo.
Parliamo di un tumore subdolo ma insidioso, in quanto i sintomi con cui si manifesta sono difficili da riconoscere sia per chi ne è colpito, che per i medici. Difatti la malattia viene, ad oggi, scoperta, quando si è già fatta strada ed è in stato avanzato.
In tanti sono alla disperata ricerca di un aiuto nella diagnosi, in modo da sapere di avere la neoplasia, prima che essa si aggravi in modo irreversibile. Come è possibile monitorare la situazione?
Esistono dei campanelli d’allarme che ci possono salvare? Gli studi scientifici, volti a supportare sia i pazienti che i medici, puntando a monitorare la situazione.
Uno studio, in particolare, è davvero molto interessante, poiché, per la diagnosi di un tumore al pancreas, suggerisce di considerare altri aspetti finora ignorati. Vediamo di quali aspetti si tratta.
E’ possibile monitorare la situazione tramite esami semplici e non invasivi, nè dal punto di vista finanziario, né sotto l’aspetto della modalità di esecuzione sul paziente. Questo è ciò che un recentissimo studio, peraltro molto interessante, ci fa sapere, suggerendo di includere, nell’ambito della prevenzione e controllo di questa neoplasia, due monitoraggi a cui finora non è stata data la dovuta attenzione.
Lo studio, condotto nel Regno Unito, potrebbe aiutare proprio a riconoscere alcuni campanelli d’allarme che permetterebbero l’individuazione del tumore al pancreas in uno stadio precocissimo, monitorando i possibili casi a rischio prima che possano evolversi in modo cruciale. La ricerca di cui vi parlerò è stata pubblicata su PLOS ONE . Effettuata da un team di esperti delle Università del Surrey e di Oxford, ha preso in rassegna oltre 8.700 pazienti, seguendoli per un arco temporale piuttosto lungo, dal 2007 al 2020, analizzando, in particolare, alcuni possibili segnali della malattia: il calo di BMI, il Body Mass Index, l’indice di massa corporea, quindi il peso corporeo, e la glicemia.
In buona sostanza, la ricerca è arrivata alla conclusione che una riduzione di indice di massa corporea, unita ad un aumento dell’emoglobina glucosilata, ossia della concentrazione media di glucosio nel sangue, possono fungere da campanelli d’allarme del rischio aumentato di tumore al pancreas. Tale studio, davvero significativo, è stato illustrato, molto chiaramente, da Luigi Cavanna, presidente del CIMOPO, il Collegio Italiano Primari Oncologi Ospedalieri, alla vigilia del CIMOPO Day del 12 novembre.
Una riduzione di indice di massa corporea, unita ad un aumento dell’emoglobina glucosilata indicano che il pancreas sta iniziando a non funzionare correttamente o a funzionare meno. Questo studio, però, presenta dei limiti. I due parametri considerati, quindi il peso e la glicemia, possono variare in base ad altri fattori come una modifica della dieta, un maggiore movimento fisico etc. Inoltre lo studio americano è uno studio “caso-controllo”, effettuato su un campione di pazienti seguiti senza effettuare dei controlli periodi e precisi, che prevedono anche ulteriori esami, come tac e analisi specifiche. Pur essendo un utile suggerimento, la ricerca in questione non va a stravolgere l’approccio terapeutico al tumore al pancreas.
Ad oggi, questa neoplasia continua ad essere una delle più insidiose e difficili da affrontare. Lo dimostrano i dati, dato che in Italia, solo nel 2020, ci sono state circa 14.300 le nuove diagnosi di tumore al pancreas e 12.400 le vittime Al CIPOMO Day del 12 novembre, il presidente Cavanna ha sottolineato che tutte le persone che ogni giorno ricevono la diagnosi di un tumore maligno, hanno bisogni estremamente diversi, seppur convogliate verso un unico e solo punto di riferimento, dato dai reparti oncologici ospedalieri. Alla luce di tutto ciò, sarebbe necessario “un percorso di transizione territoriale, in modo da gestire il passaggio di consegne tra ospedale e territorio in maniera coordinata e collaborativa tra specialista, medico di medicina generale e un domani l’oncologo che andrà sul territorio” .