Tagli e sforbiciate: così il nostro sistema sanitario è finito in ginocchio
La debacle della sanità italiana ha seguito un percorso ben preciso, ricollegabile a nomi, cognomi, date e provvedimenti ben precisi.
Il quotidiano Il Tempo, in edicola oggi, ripercorre tutte le tappe che hanno portato il nostro sistema sanitario allo sfascio. Uno sfascio del quale ci siamo improvvisamente resi conto in questi complicatissimi giorni, tra posti letto in terapia intensiva insufficienti, carenza di personale e di strutture.
Un dossier del 2019 della Fondazione Gimbe ha focalizzato l’attenzione sui tagli al settore sanitario avvenuti tra il 2010 e il 2019, pari a circa 37 miliardi di lire. In altre parole, in dieci anni la spesa pubblica sanitaria è passata da 105,6 miliardi di euro a 114,4 miliardi, aumentando dello 0,8% ogni anno. Attenzione però, perché nello stesso periodo l’inflazione aumentava dell’1,07% all’anno. Quindi si è speso sempre meno.
In generale, un passo alla volta, ogni governo che si è succeduto dal 2011 in poi ha contribuito ad accelerare il declino, tagliuzzando e attingendo alle casse della sanità per rimettere in ordine i conti pubblici. Il punto di partenza risale all’esecutivo guidato da Mario Monti. Lo ribadisce un dossier intitolato “La spending review sanitaria”, risalente allo scorso 4 marzo e pubblicato dagli uffici della Camera.
Tagli e sforbiciate dal 2011 a oggi
Il contenuto ripercorre i provvedimenti annunciati come “razionalizzazioni” della spesa ma che in realtà hanno fatto ben altro. Anziché eliminare gli sprechi senza diminuire i servizi, questi hanno avuto l’effetto contrario. Si parte con il Salva Italia, seguito dalla Spending review del 2012.
Uno dei punti cruciali riguarda il taglio dei posti letto, i quali devono passare da un massimo di 4 per ogni mille abitanti a un massimo di 3,7. Per la cronaca, si tratta di uno 0,3% che avrebbe potuto “pesare” fino a 20mila posti in meno. Allo stesso modo il tasso di ospedalizzazione, cioè il numero di ricoveri medio annuale per 100mila abitanti, fu abbassato da 180 a 160.
In seguito, i governi Letta, Renzi e Gentiloni non hanno introdotto alcuna inversione di tendenza per risollevare le sorti del sistema sanitario. Durante l’operato dell’ex sindaco di Firenze va registrata la legge di Stabilità 2015, la quale chiese alle Regioni 4 miliardi di contributo alle casse statali. Queste, non sapendo da dove prendere i denari, che cosa hanno fatto? Decisero di rinunciare all’aumento di due miliardi di trasferimenti per le spese sanitarie che lo stesso Renzi aveva promesso.
I tagli succeduti nel corso degli anni hanno riguardato anche le spese relative ai dispositivi sanitari di protezione. La citata spending review impose ad esempio il passaggio dal 5,2% del totale del finanziamento del sistema sanitario nazionale a carico dello Stato nel 2012 al 4,8% del 2013, al 4,4% del 2014 e così via. L’ultima stangata è arrivata dal governo Conte con l’introduzione di Quota 100. Il dossier della Camera sottolinea come questo provvedimento abbia “acuito la grave carenza di personale, rischiando di compromettere l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza”.
Detto altrimenti, si è consentito a un numero troppo elevato di medici di poter andare presto in pensione, per poi richiamarli ora che la situazione sanitaria italiana è prossima al collasso.