Bibbiano, falsi affidi ai privati per fare business sui bambini
Falsi affidi allo scopo di fare business. Gli indagati di Bibbiano fingevano affidi farlocchi pur di guadagnare soldi dal sistema illecito. È questa l’ennesima realtà che emerge dalle chat visionate dagli investigatori della procura di Reggio Emilia che stanno lavorando per scoprire cosa si nascondeva sotto il sistema di affidi gestito dai servizi sociali della Val d’Enza.
“Devo chiederti una cosa di lavoro anche… faresti tre mesi di affido finto a Chibu per pagare le psicoterapie?”. La richiesta formulata in un messaggio proveniva da Cinzia Magnarelli, assistente sociale finita nel registro degli indagati con l’accusa di aver stilato false relazioni per strappare i bambini dalle proprie famiglie d’origine. La donna ha poi confessato, in sede di tribunale, di esser stata “costretta” con ricatti psicologici a mettere in atto i reati voluti dalla dirigente dei servizi sociali Federica Anghinolfi. Il destinatario del messaggio era una donna di nome Elly, come riporta La Verità. Un sotterfugio, quello che cercavano di mettere in piedi le due signore che, secondo gli investigatori, si traduce nella “ricerca di soggetti privati a cui intestare le fatture di psicoterapia attraverso un finto affido”.
Per scampare al processo, Magnarelli aveva tentato di patteggiare la pena. Ma la richiesta in risposta alle accuse di falso ideologico e frode processuale non è stata accolta dai giudici, che hanno ritenuto gravissimo almeno uno degli episodi in cui è coinvolta la donna. È il caso di una famiglia straniera i cui bambini erano stati messi sotto osservazione dei servizi sociali. I genitori non vollero mai ammettere di aver commesso abusi sessuali ai danni dei propri figli. Un atteggiamento che non è andato giù a Federica Anghinolfi e alla collega Magnarelli che avrebbero voluto dimostrare l’ennesima violenza in famiglia e strappare i figli dalla propria casa. Così, le due, sono ricorse al “piano B”: accusare la coppia di non essere idonea alla crescita dei propri figli. Una “sentenza” tenuta in piedi macchiando i genitori con presunti problemi culturali. Una bufala che avrebbe permesso di negare alla mamma e al papà la capacità genitoriale e che, per il giudice, avrebbe causato un “danno di assoluta gravità, capace di mettere in pericolo le decisioni dell’ autorità giudiziaria, chiamata a pronunciarsi sull’ affidamento dei minori, e di ledere i vincoli familiari”.
Tali falsificazioni, come confermano le chat, per i demoni di Bibbiano erano all’ordine del giorno. Nella conversazione ripresa dal telefono di Magnarelli anche un messaggio vocale, sempre all’amica Elly: “Veramente qua… si sta selciando… poi la Fede (Anghinolfi, ndr) ha fatto un numero oggi […] cioè ha detto una balla praticamente alla capa degli psicologi pur di far ricoverare la ragazza… però, vabbé, adesso l’ abbiamo sistemata per cui sono tranquilla, però non è un bel momento”.
E se qualcosa non filava come da programma, gli indagati si rivolgevano all’amministrazione. Agli amici della politica. Uno tra i tanti, Andrea Carletti, il sindaco di Bibbiano, anche lui indagato con l’accusa di falso e abuso d’ufficio. A lui Anghinolfi si era rivolta per lamentare il disinteresse dell’Asl della zona nel mandare i bambini in terapia da Claudio Foti, al centro La Cura. Il capo dei servizi sociali attaccava le psicologhe sostenendo, come affermano gli investigatori, che queste “non inviano alla Cura di Bibbiano dall’ Hansel e Gretel, i bambini, a suo dire, gravemente maltrattati e abusati”.
Nonostante gli attacchi agli enti locali e l’astio verso chiunque non facesse quello che Anghinolfi e i suoi avevano preventivato, i nemici erano, sempre e comunque, i genitori naturali. Per la lotta all’allontanamento delle famiglie dai propri bambini, gli assistenti sociali erano pronti a tutto. Sempre in una chat, l’atteggiamento nei loro confronti emerge più chiaro che mai. Questa volta la storia di cui parlavano le assistenti era quella della piccola Katia. La bimba affidata alla coppia di donne omosessuali, una delle quali ex compagna di Federica Anghinolfi (Daniela Bedogni e a Fadia Bassmaji). Le due donne sono finite al centro dell’inchiesta sugli affidi dopo che, attraverso le intercettazioni, è emerso come queste maltrattassero la bambina e la obbligassero a confessare abusi mai avvenuti da parte dei suoi genitori. Tra un delirio e l’altro, la coppia si impegnava a inventare storie da raccontare agli operatori dei servizi sociali al fine di far valere come prove ai danni dei genitori della piccola i falsi racconti che loro affibbiavano alla minore.
Nel frattempo Federica Anghinolfi pensava a come staccare fisicamente ed emotivamente i genitori naturali dalla bimba. “Il papà non dovrebbe scrivere alla bimba in modo diretto. La bimba ha uno smartphone? Se sì non sono d’accordo”. Diceva l’indagata. Dopo aver negato alla bambina un messaggio d’amore che il padre avrebbe voluto far arrivare a sua figlia. “E questo messaggio non lo diremo alla bimba” sentenziarono le assistenti. Una vera e propria collaborazione tra professionisti e coppia affidataria. Tanto evidente da portare i carabinieri a sostenere che “i servizi sociali fossero consapevoli della circostanza che le affidatarie effettuassero arbitrarie valutazioni psicologiche circa i comportamenti della bambina”.
Ma c’è di più. Scorrendo nei messaggi appare l’ennesima conferma della consapevolezza dell’illecito. “Onestamente sono stanca che venga messa in dubbio costantemente la nostra professionalità”, commentava una delle operatrici in riferimento al comportamento invadente delle due donne. Le assistenti sociali criticavano le iniziative di Fadia e Daniela, probabilmente consapevoli delle atrocità che le due stavano mettendo in atto. Eppure quando arrivava il momento di stilare relazioni sulla bambina affidata da inoltrare al Tribunale dei Minori, si limitavano a scrivere “in maniera acritica” solamente ciò che le due donne raccontavano. Senza ulteriori valutazioni.
Oltre alla lotta per l’affido assoluto alle coppie Lgbt, Federica Anghinolfi a Bibbiano lavorava anche per combattere una sorta di setta satanica di pedofili di cui non è mai stata provata l’esistenza. Ma la donne ci credeva eccome. Tanto che avrebbe accusato il medesimo gruppo di maniaci di aver fatto parte dell’uccisione del piccolo Tommaso Onofri avvenuta nel parmense del 2006. A confermare l’idea strampalata della donna un altro messaggio lasciato in chat. “Tanti bambini raccontano… sempre nei pressi dell’ Enza… ai confini tra Reggio e Parma… luoghi anche del piccolo Tommy”. Convinzioni assurde che la donna voleva convincere tutti fossero vere. Tanto che per far emergere il caso inventato avrebbe persino voluto far partire “un’ inchiesta giornalistica”. Siamo all’emblema del paradosso.