Bibbiano, i “demoni” volevano affidare bimbi anche agli ex brigatisti
Togliere i bambini alle proprie famiglie. A tutti i costi. Era questo l’obbiettivo dei “demoni” di Bibbiano.
Poco importava a chi andassero i minori tolti alle famiglie con false accuse e relazioni inventate, l’importante era strapparli dal proprio nucleo familiare per fare business, portare avanti la propria ideologia o affidarli ad amici e conoscenti per coronare il loro sogno di genitorialità. Un egoismo sfrontato che si è riversato per anni sulle vite di decine di minori.
Dalle chat ritrovate dagli investigatori che hanno visionato telefoni cellulare e pc degli indagati questa verità emerge chiara come non mai. In una conversazione risalente a maggio del 2015 (anni precedenti al periodo preso in esame dagli inquirenti della procura di Reggio Emilia) Federica Anghinolfi, dirigente dei servizi sociali finiti nell’occhio del mirino per gli scandali di Bibbiano, parlando con una collega chiedeva espressamente a questa di tacere al giudice il passato di uno dei genitori affidatari. Il bambino sarebbe stato affidato ad un ex brigatista. Ma nessuno doveva saperlo. La psicologa Imelda Bonaretti scrisse all’Anghinolfi: “Ohi, Fede, ma poi chi glielo dice al giudice” che il bimbo “lo mandiamo all’ex brigatista?”. Domanda a cui la capa non ha esitato a rispondere: “Mica lo sa. E la pena l’ha scontata”.
Un dialogo che, per di più, non fa riferimento ai casi dei bambini di Bibbiano analizzati dalla procura nell’ordinanza di fine giugno. Dalle indagini, da mesi ormai, emergono dettagli che fanno venire a galla ulteriori casi sospetti. Indizi sui quali la pm a capo dell’inchiesta, Valentina Salvi, più volte ha aperto nuovi fascicoli. Su questa storia, suggerita dalle chat delle due donne, i dettagli rimangono pochi. Si indagherà per capire se quell’affido sia di fatto avvenuto e, nel caso, chi fosse l’ex brigatista a cui sarebbe dovuto andare in affido il minore. Tra le ipotesi anche che possa trattarsi di Flavio Amico. L’uomo aveva subito una condanna a 18 anni per esser stato complice del rapimento di Aldo Moro. Poi, come riporta La Verità, nel 2013 era stato accusato per il maltrattamenti nei confronti di due minori ospiti della casa famiglia che aveva fondato nove anni prima a Fidenza, in provincia di Parma, il cui processo era poi andato in prescrizione.
Dai dialoghi tra psicologi e assistenti sociali si conferma la versione già sostenuta più volte dalla procura. Nel sistema Bibbiano vi era una vera e propria manomissione dei documenti da presentare ai giudici per le sentenze sugli affidi non solo nei casi analizzati dagli inquirenti. Il gioco sporco andava avanti da anni, come aveva confessato a IlGiornale.it l’ex giudice Francesco Morcavallo che, da settembre 2009 a maggio del 2013, ha prestato servizio al Tribunale dei Minori di Bologna. E già in quegli anni ne aveva viste di tutti i colori. “Sparivano fascicoli. Noi decidevamo di riassegnare i bambini alle famiglie naturali ma, le nostre decisioni venivano revocate da altri giudici. Noi mandavamo i bambini a casa e, dopo poco, venivano riportati via”.
Anche i giudici in qualche modo dovevano essere imbrogliati. Come i genitori. Come i colleghi. Tutto era lecito per gli indagati, qualsiasi cosa si poteva fare pur di mandare avanti il loro complotto.
La psicologa Bonaretti e la Anghinolfi torneranno a parlare dei giudici anche nell’ottobre del 2015. La psicologa, secondo quanto emerge dalle conversazioni, sarebbe stata incaricata di stilare una relazione per la revoca di un provvedimento di allontanamento. Un “no” che la responsabile dei servizi sociali avrebbe voluto scongiurare. Tanto che – quando le arriva il messaggio della Bonarietti che scrive “Io lascio intendere… E comunque il quadro è grave, la piccola antisociale cresce” – la Anghinolfi le chiede di esasperare la situazione. “Quel giudice è molto tonto, non intende”. Motivo per cui, secondo lei, “forse una spiegazione tecnica sarebbe auspicabile. Sai, tipo quelle relazioni da Consulente tecnico d’ufficio”. Si doveva sottolineare che la bambina avesse dei problemi e che la causa fossero proprio i suoi genitori. Agli ordini. La psicologa risponde assecondando la ex responsabile dei servizi. “Eh, magari provo a rendere più esplicita quella frase”.