Italia addio: investitori in fuga
Il Belpaese? Sempre meno attraente per gli investitori. Tanto che, come osserva l’ufficio studi della Cgia di Mestre che ha elaborato dati Ocse, l’Italia nel 2018 è stata malinconicamente penultima in Europa con uno stock di investimenti diretti esteri (Ide) pari al 20,5 per cento del Pil.
Dietro di noi solo la Grecia, ferma al 16 per cento. La Germania, terzultima, ci supera di tre punti percentuali, Francia e Spagna pur se nella seconda metà della classifica vantano un ammontare di Ide molto superiore (29,7 e 48,3 per cento rispettivamente), mentre i primi posti restano a distanze siderali: in testa l’Irlanda con 261,5 per cento, seguita da Lussemburgo (211,5) e Olanda (184,4). Risultato non casuale, ricorda la Cgia, poiché «a causa dell’oppressione burocratica che grava sulle imprese, della lentezza che caratterizza la giustizia civile, dell’inefficienza generale della Pubblica amministrazione e della cronica mancanza di infrastrutture sociali ed economiche, i grandi investitori internazionali si guardano bene da impegnarsi nel nostro Paese».
Una brutta notizia all’inizio di quello che la Cgia chiama «il mese delle tasse»: l’ufficio studi dell’associazione artigiani e piccole imprese di Mestre ricorda infatti che a novembre gli italiani verseranno alle casse dell’erario ben 55 miliardi di euro. La parte del leone di questo salasso per imprese e lavoratori autonomi sarà l’Iva, che pesa sul totale per ben 15 miliardi di euro, seguito dall’acconto Ires che costerà a Spa, Srl e cooperative 13.3 miliardi di euro di anticipi al fisco. Sul podio anche le ritenute per dipendenti e collaboratori (11,9 miliardi), mentre quarto e quinto posto delle imposte più onerose spetta all’acconto Irpef (6,2 miliardi) e Irap (6,1). Ancora la Cgia ricorda come le Regioni intascheranno un miliardo di euro dall’addizionale Irpef, che arricchirà anche i comuni per 413 milioni di euro. E a margine del «mese del salasso», ancora l’ufficio studi Cgia ricorda come in Italia la pressione fiscale sulle imprese sfiori il 60 per cento (59,1%), un dato che in Europa è secondo solo alla Francia (60,7%), e che è comunque di molto superiore alla media Ue, ferma a 42,8 per cento, oltre 16 punti più in basso. Quel 59,1 per cento ci riporta in linea con il 2015, dopo che nello scorso biennio misure temporanee, come gli sgravi per i neoassunti a tempo indeterminato, avevano abbassato sensibilmente l’incidenza della pressione fiscale, fissandola al 48 per cento (2016) e al 53,1 per cento (2017).