“Stiamo lasciando l’UE”. Dopo la Brexit, un altro paese pronto a dire addio: un annuncio scioccante

Dopo il referendum sulla Brexit, che ha sancito l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, l’orizzonte delle relazioni tra Bruxelles e i suoi membri sembra avvolto da nuove nubi. La recente strategia del governo ungherese, guidato da Viktor Orbán, alimenta i timori di un’ulteriore spaccatura all’interno dell’Unione. Le forti segnali di distacco politico e ideologico mostrati da Budapest indicano un possibile percorso verso una futura uscita, in un momento in cui l’UE si trova a dover gestire delicate questioni geopolitiche e di policy interna.

L’ultimo episodio che ha acceso i riflettori si è verificato durante una consultazione pubblica, promossa dal governo Orbán, riguardante l’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea. Sebbene il voto sia di natura simbolica, i toni adottati nel dibattito pubblico e nelle campagne di propaganda sono stati chiaramente populisti e anti-europeisti: slogan che denunciano “l’imposizione di Bruxelles”, accuse di minaccia economica e narrativa che dipingono l’Ucraina come un possibile peso per le finanze e la stabilità dell’UE.

Il quadro si è ulteriormente complicato in occasione di un importante incontro interno del partito Fidesz. In quella sede, Orbán ha lasciato intendere che l’uscita dall’UE potrebbe diventare un’opzione concreta, affermando: “Se l’Unione nel 2004 fosse stata come oggi, l’Ungheria forse non avrebbe aderito”. Nonostante abbia poi precisato che “il momento di una decisione drastica non è ancora arrivato”, le sue parole sono un chiaro messaggio di preparazione: Budapest sembra voler mettere in discussione la propria permanenza nell’Unione, senza per il momento procedere a un’uscita ufficiale.

Le critiche di Orbán rivolte a Bruxelles riguardano non solo le questioni economiche—sempre più legate alla gestione della guerra in Ucraina, alla distribuzione dei fondi europei e alle politiche agricole—ma anche l’approccio alle rispettive politiche di sovranità nazionale. Orbán, infatti, ha adottato un linguaggio euroscettico molto simile a quello dei movimenti pro-Brexit, dipingendo Bruxelles come un’entità esterna che mina l’autonomia dei singoli Stati membri.

Questa strategia di delegittimazione del progetto europeo ha il fine di consolidare il consenso interno e di contrastare l’ascesa dell’opposizione politica, guidata da figure come Peter Magyar. Tuttavia, essa apre anche scenari imprevedibili per il futuro dell’Unione: anche se attualmente l’Ungheria resta stabile nel contesto europeo, la riproduzione di questo rhetoric anticonvenzionale e la crescente sfiducia nei confronti di Bruxelles rischiano di minare la coesione del blocco nei prossimi anni.

Con i progetti di allargamento a est che l’UE si appresta a sviluppare, la perdita di uno dei membri principali come l’Ungheria rappresenterebbe una sfida mai vista prima, mettendo a rischio l’unità politica e strategica dell’intera Unione. La situazione di Budapest, pertanto, non riguarda soltanto una questione nazionale, ma potrebbe avere ripercussioni di vasta portata sull’equilibrio istituzionale e sulla futura capacità dell’UE di gestire le proprie politiche e relazioni internazionali.

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