Mario Giordano smaschera Ursula von der Leyen
Il 12 marzo, durante una puntata di “Fuori dal coro”, Mario Giordano ha sollevato un acceso dibattito pubblico sul piano dell’Unione Europea denominato “ReArm Europe”, che prevede uno stanziamento di 800 miliardi di euro per rafforzare le capacità militari del continente. La proposta, motivata dall’aumento delle tensioni geopolitiche e dalla percepita minaccia rappresentata dalla Russia, ha suscitato reazioni contrastanti tra analisti, politici ed esponenti dell’opinione pubblica.
Le critiche di Giordano: usare le emergenze come leva per decisioni drastiche
Mario Giordano ha esplicitamente criticato l’Unione Europea e i leader europei, in particolare la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, accusandoli di fare un uso strategico delle emergenze per giustificare misure senza un adeguato dibattito pubblico. Secondo il giornalista, questa strategia si ripete nel tempo: ogni crisi viene sfruttata come pretesto per accelerare decisioni che alterano conflittualmente le norme democratiche e i principi di trasparenza.
In passato, Giordano ha ricordato come le emergenze siano state utilizzate per imporre misure drastiche e controverse. Durante la crisi dello spread, si proponeva di tagliare sanità e pensioni per evitare il default; con la pandemia, si sono rapidamente acquistati vaccini sperimentali e imposto lockdown, con gravi danni alle imprese locali. Più recentemente, il problema climatico ha portato a campagne di sostituzione auto e isolamento domestico per contrastare il riscaldamento globale. Ora, la crescente minaccia russa sembra essere la nuova emergenza sfruttata per giustificare l’aumento della spesa militare.
Il rischio di una strategia basata sulla paura
Giordano mette in guardia da quella che definisce una “catena di emergenze”, dove ogni crisi sostituisce la precedente, impedendo un reale dibattito e condividendo decisioni di carattere strategico e finanziario. In questo modo, le decisioni compiute appaiono spesso come reazioni emotive piuttosto che risposte razionali, alimentate dalla paura e dalla pressione geopolitica.
Un esempio citato riguarda il mutamento di opinione degli esperti nel giro di pochi mesi: un tempo si affermava che la Russia fosse impreparata a un’invasione; ora, invece, viene dipinta come una minaccia imminente e insidiosa, giustificando così un ingente investimento militare.
Il piano “ReArm Europe”: sicurezza o rischio di militarizzazione?
Il piano, che prevede la mobilitazione di 800 miliardi di euro, intende rafforzare la capacità di difesa dell’Europa, riducendo la dipendenza dagli Stati Uniti e rispondendo alle crescenti tensioni inficiate dalla guerra in Ucraina. La proposta, sostenuta da alcune figure istituzionali come Mario Draghi, è vista come una risposta strategica per garantire la sicurezza del continente in un’epoca di instabilità crescente.
Tuttavia, non sono mancate le voci di preoccupazione. Esponenti del Movimento 5 Stelle ed altri critici sottolineano come una forte componente pacifista, fondamentale per la nascita dell’Unione Europea, venga messa in discussione da un massiccio riarmo. Alcuni temono che questa strada possa portare a una militarizzazione eccessiva e rischi di tradire i principi di pace e cooperazione tra gli Stati membri. Inoltre, si evidenzia il timore di una possibile “deriva bellicista” causata dall’emissione di “eurobond di guerra” e di un aumento delle tensioni internazionali.
Il fronte della critica e la posizione dei legislatore
Mentre alcuni analisti vedono nel piano un elemento imprescindibile per la sicurezza europea, altri auspicano un equilibrio tra difesa e dialogo diplomatico. La discussione evidenzia profondi divari tra chi ritiene prioritario investire per la difesa e chi teme una contrazione dei valori pacifisti fondamentali per l’identità dell’UE.
In conclusione, il dibattito sul “ReArm Europe” rappresenta una sfida tra la necessità di proteggere i cittadini e il rischio di scivolare verso un’Europa militarizzata. La questione resterà al centro del confronto pubblico e politico nei mesi a venire, sottolineando come utilizzare le crisi come leva di potere possa avere conseguenze a lungo termine sui principi democratici e sulla stabilità continentale.