Meloni da Trump, missione sopravvissuta: nessun passo falso, nessun passo avanti
Giorgia Meloni torna da Palm Beach con la stessa impressione di chi ha navigato in acque tranquille senza trovarvi sorprese né successi concreti. La visita a Donald Trump, nel cuore di Mar-a-Lago, si è svolta in un clima disteso e affabile, senza scivoloni né trofei, ma soprattutto senza risultati tangibili. Doveva essere l’occasione per aprire un canale privilegiato con il potenziale prossimo presidente degli Stati Uniti, ma quella che sembrava un’opportunità si è rivelata un dialogo a tratti vuoto di sostanza.
Uno dei nodi cruciali dell’incontro riguardava la questione commerciale, in particolare i dazi americani sull’export europeo, e italiano in particolare. Meloni ha portato avanti il dossier, ma Trump non si è sbilanciato con promesse o impegni concreti. Nessun accenno a una revisione futura, né quanto a tempi né a condizioni. Il tycoon, ormai noto per la sua logica di negoziazione di tipo business, ha lasciato intendere che se riorganizzerà la Casa Bianca, tutto potrà essere negoziato, ma alle sue regole e sul suo vantaggio. L’Italia, da sola, si trova senza strumenti per imporre un cambio di rotta.
Sul fronte della difesa atlantica, Meloni ha cercato di rafforzare la propria credibilità rimarcando l’impegno italiano a raggiungere il 2% del PIL in spesa militare, come richiesto dalla NATO e apprezzato da Washington. Tuttavia, Trump, che rimane profondamente scettico sull’efficacia e sul ruolo dell’Alleanza, ha reagito in modo diplomatico, senza compromettersi troppo. Lo scenario geopolitico rimane complesso: Trump guarda all’Europa più come a un peso che a un alleato strategico, e questa percezione rischia di indebolire ulteriormente la posizione italiana nel prossimo futuro. Meloni, che si riconosce nell’occidente, potrebbe trovarsi senza una vera sponda se gli Stati Uniti vireranno definitivamente verso un isolazionismo muscolare.
Anche sul fronte dell’immigrazione, i due leader condividono un discorso di sostanza più retorico che operativo: controllo delle frontiere e lotta all’illegalità. Eppure, le differenze sono evidenti. Trump ha il suo muro e la sua agenda intenzionalmente nazionale; Meloni ha bisogno del supporto europeo e di soluzioni multilaterali per gestire i flussi nel Mar Mediterraneo. L’incontro ha prodotto sorrisi e slogan condivisi, ma nessun piano concreto per affrontare queste criticità.
Il tema più delicato resta comunque quello della guerra in Ucraina. Meloni ha confermato il suo sostegno a Kiev, mantenendo la linea europeista e filoamericana che ha contraddistinto il suo mandato. Trump, sempre più critico verso l’interventismo statunitense, ha però espresso chiaramente un’idea diversa: meno armi, più trattative. Una posizione che potrebbe preannunciare un ulteriore capitolo di divergenza qualora riprendesse il potere alla Casa Bianca.
In conclusione, la visita di Meloni a Palm Beach si può riassumere come un esercizio di diplomazia difensiva: ha certo mantenuto un’immagine di interlocutore affidabile, senza scivoloni o tensioni. Tuttavia, dal punto di vista dei risultati concreti, è uno zero tondo. Nessuna intesa, nessuna apertura, solo parole di circostanza e un approccio di galleggiamento diplomatico. Un pareggio difensivo che, sul lungo termine, rischia di pesare: in politica estera, non perdere equivale a non vincere. E in questo caso, il conto potrebbe risultare salato per l’Italia e per i suoi interessi strategici.