Rivolta in carcere contro Alessia Pifferi: accuse di violenza e insulti dalle altre detenute

Alessia Pifferi, condannata all’ergastolo per l’omicidio della figlia Diana, ha denunciato di essere vittima di violenze all’interno del carcere di Vigevano. La donna, che ha lasciato la sua bambina di 18 mesi da sola in casa per sei giorni, causando la sua morte per disidratazione nel luglio 2022, ha riportato ferite al volto a seguito di aggressioni da parte delle compagne di cella. Un referto medico confermerebbe la necessità di quattro punti di sutura per le lesioni subite.

Da tempo, Pifferi lamenta vessazioni e insulti da parte delle altre detenute, che la chiamano “mostro” e “assassina”. Queste accuse sono state riprese da diversi media, tra cui il Corriere della Sera, che ha fornito dettagli sulle presunte aggressioni fisiche e verbali subite dalla donna. In seguito a questi episodi, Pifferi ha deciso di non partecipare a una recente udienza del processo d’appello, temendo ulteriori ritorsioni.

La condanna all’ergastolo, emessa dalla Corte d’Assise di Milano il 13 maggio 2024, è stata motivata dalla volontà della Pifferi di trascorrere del tempo con il compagno, senza preoccuparsi della sorte della figlia. Nonostante le argomentazioni della difesa, secondo cui non vi era intenzione di uccidere, la Corte ha ritenuto il comportamento della madre volontario e consapevole, confermando quindi l’accusa di omicidio volontario aggravato.

Nel contesto del processo, è emerso un nuovo filone d’indagine, denominato “Pifferi bis”, che coinvolge la difesa e alcuni professionisti, tra cui l’avvocata Alessia Pontenani e alcune psicologhe. Sono accusati di aver manipolato test cognitivi e di aver indotto Pifferi a raccontare presunti abusi al fine di ottenere attenuanti. Questa situazione ha portato a richieste di acquisizione di nuovi documenti, ma la Procura ha giudicato tali richieste come inammissibili e tardive.

Il caso di Alessia Pifferi continua a suscitare indignazione e dibattito pubblico, riaccendendo il focus su temi come la responsabilità genitoriale, la tutela dei minori e la gestione delle detenute all’interno degli istituti penitenziari. Mentre la difesa cerca di ribaltare la sentenza di primo grado, l’accusa rimarca la volontarietà del comportamento della donna, escludendo la possibilità di un errore o di una condizione psicologica alterata.

In attesa dell’esito del processo d’appello, la situazione in carcere rimane tesa, con Pifferi che continua a denunciare un trattamento violento e ostile da parte delle altre detenute. La decisione finale dei giudici sarà cruciale non solo per il destino della donna, ma anche per le questioni più ampie che il caso ha sollevato, riguardanti la giustizia e la dignità all’interno del sistema penitenziario.